COME QUANDO E PERCHE' NASCE H.T

Questa pagina è stata scritta nell'estate del 2011 al primo rientro in Nepal. Racconta dei primi incontri con la mamma dei 2 piccoli precedentemente salvati dall'orfanotrofio di Kathmandu e spiega la dinamica mafiosa dietro al business del traffico di minori. Da allora sono successe molte cose, questa è una testimonianza del nostro passato e dei primi passi. I nomi delle persone sono stati cambiati per proteggerne l'incolumitá e la privacy.
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Ognuno di noi ha il suo hobby, il suo trip: ci sono gli smanettoni del computer, quelli da fai da te, quelli da giardinaggio, i collezionisti, gli scalatori, i viaggiatori etc. A me è sempre piaciuto viaggiare, conoscere nuovi posti dal nome strano, popoli diversi da quello occidentale che mi ha cresciuta e asfissiata, colori diversi, cibi diversi, lingue diverse. E ho sempre avuto una predisposizione naturale all’empatia, un interesse verso il sociale, un istinto di protezione e una ricerca della Giustizia che viene sempre negata ai deboli, ai bambini, alle donne, ai poveri, agli sfigati insomma. Unendo la passione per i viaggi a quella per gli sfigati, nel 2009 sono stata in Nepal per nove mesi, lavorando in un orfanotrofio. Ovviamente all’ inizio non lo sapevo ma quei nove mesi e quei bambini hanno cambiato il corso della mia vita e posto le basi per la nascita di HUMAN TRACTION. Proprio perché quei due bambini rappresentano l’inizio del lavoro di questa piccola Onlus, è di primaria importanza garantire loro un’infanzia e un migliori. 


Ho incontrato un responsabile di CWIN, (l’Ong locale che ha tolto i bambini dall’orfanotrofio e provveduto a trovare per loro una scuola e un buon ostello) e fissato un incontro a quattro: io, i bimbi e la mamma. Ricordavo come trovare la casa di Shakti, la madre, e così con l’aiuto di Charlie, il mio compagno di viaggio nepalese, che parla nepalese, siamo partiti alla ricerca di quella donnina che poteva placare il fiume delle mie domande, una su tutte: perché hai dato via i tuoi figli? Dopo un’ora di autobus e due di cammino eravamo davanti alla porta di casa, tornare in quel luogo è stato surreale quanto la prima volta con i bambini. Grazie a Charlie la barriera linguistica questa volta è stata in parte superata e ho potuto finalmente parlare con lei. Le ho chiesto scusa in anticipo per le domande private ed importanti che le stavo per fare, ma voglio bene ai tuoi figli e che ho bisogno di capire delle cose.
Così ho saputo che è stata lei stessa a portare i bambini in orfanotrofio; qualcuno del villaggio le aveva raccontato di queste case di accoglienza a Kathmandu, dove i bambini ricevevano sostegno economico dagli stranieri potendo così andare a scuola con la garanzia di tre pasti al giorno. Shakti era una donna sola, senza reddito e con tre figli a carico, certo questa poteva sembrare una buona soluzione. Ha imparato a sue spese che la realtà è molto diversa (vedi sito). Le ho detto che sabato avrei visto i suoi figli e chiesto se voleva venire a Kathmandu per incontrarli, i suoi occhi si sono illuminati e ha detto sì. A quel punto l’affondo finale, le ho domandato dell’altra sua figlia. Mi ha detto di non averla più rivista da quando la portò in istituto (quello dove ho lavorato io e conosciuto i bimbi) con i fratelli. Non sapeva nient’altro, non sapeva di non averla vista insieme agli altri due perché è stata adottata in Europa, in Spagna nel 2007.
Shakti è una donna di campagna, non è mai andata a scuola e ovviamente non sa dove o cosa sia l’Europa. Mi ha chiesto se la figlia sta bene, le ho detto che purtroppo non lo so, credo di sì, la Spagna è bella, c’è il mare blu…E’ stato un momento toccante, ero di colpo nell’intimità di una sconosciuta dicendole che sì, tua figlia è persa ma i due maschi puoi continuare a vederli. Le ho dato 50 rupie per venire a Kathmandu, ci siamo salutate e per un attimo mi è sembrato che il bananeto e le colline davanti casa, che la luce riflessa in una pozzanghera e negli occhi di Shakti, che tutto fosse semplicemente, meravigliosamente brillante. Quella sera ho flippato pensando a quanto è strana la vita, ai fili invisibili che ad un certo punto legano le vite delle persone in modi sorprendenti ed inimmaginabili.

Il sabato mattina Shakti è arrivata presto a Kathmandu, comunicando a gesti e sguardi abbiamo aspettato circa tre ore prima dell’incontro. Perché non parliamo tutti la stessa lingua? Colazione con imperativo chai (thè) e donuts, poi passeggiata su e giù per Swayambunath tra le bandierine svolazzanti e le scimmie, dove con orgoglio mi ha ripetuto l’età dei suoi tre figli e che non vede la femmina da 5 anni. Ragazzi miei che groppo in gola! L’incontro è avvenuto nell’ufficio di CWIN. All’ inizio i bambini erano molto timidi e sfuggenti, anche nei confronti della madre. Pure io non mi sentivo a mio agio in un ufficio con il direttore della scuola ed il responsabile dell’Ong così ho chiesto se potavamo andare a pranzo da soli. Ho fatto bene perché la tensione si è sciolta già dal cammino verso il ristorante. Hanno cominciato a chiacchierare tra di loro, lei li teneva per mano, attento alla pozzanghera. 

A pranzo se li è mangiati con gli occhi, controllato che non avessero i pidocchi, e giocato con loro con le figurine dell’Esselunga. Mi ha chiesto se a ottobre, per il Dashain, (la più importante festività in Nepal, paragonabile al nostro Natale) gli porto i bimbi a casa. Ci puoi contare che te li porto! Tornati in ufficio il direttore della scuola mi ha confermato che i due bimbi sono davvero eccezionali, beneducati e diligenti e che è felice di accordare il permesso per “Natale”. Ha parlato per un po’ con Skathi traducendomi che, non sa perché la sto aiutando con i suoi figli ma è incredibilmente felice e non sa come ringraziarmi. Niente ringraziamenti didi, voglio bene ai tuoi figli, voglio che loro stiano bene e che tu per lo meno li veda di tanto in tanto. I due topolini sono tornati “a casa loro” con il direttore, io e la mamma ci siamo salutate ed abbracciate in un puzzolente incrocio di Kathmandu con la promessa di rivederci in autunno, per le vacanze di famiglia.